“Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro”.
(G.O)
Orwell è sempre stato tra gli scrittori miei preferiti.
Non ci sono state occasioni in cui questo grande letterato non mi abbia illuminato il cammino e non mi abbia aperto gli occhi nei riguardi delle persone incontrate sulla mia strada.
La frase sopra citata, e ripresa dalla Fattoria degli Animali, parla da sola.
Eloquentemente cade a fagiuolo (perdonatemi il dittongo) su questi giorni nei quali certi benpensanti, noti e meno noti dei salotti catanesi che contano, si manganellano a suon di status su Facebook e derivati.
Io rappresento uno di quegli animali di cui parla Orwell nella citazione. Non solo li rappresento, mi identifico in loro. Non posso, in qualità di piccolissima scrittrice e temeraria osservatrice, identificarmi nell’uomo o nel maiale ai quali la citazione fa riferimento.
Forse gli animali non sanno né leggere e né scrivere, come invece so fare io.
Forse dovrei identificarmi con l’uomo, vista l’andatura e la postura eretta da me adottata nell’atto del camminare.
Forse dovrei identificarmi nel maiale, sia per la comune andatura, acquisita dal maiale successivamente nell’opera di Orwell, sia per l’abilità scrittoria e la capacità di scrittura acquisita dallo stesso sempre in un successivo momento.
Forse dovrei, per la comunanza di fattori, identificarmi nell’uomo come nel maiale.
Ma non ci riesco. Non riesco proprio a farlo.
Ché uno scrittore, piccolo/medio/grande/aspirante, non può non essere un animale, di quelli che ne detengono qualità e caratteristiche fino alla fine.
Lo scrittore è un animale.
Gli scrittori catanesi come gli animali osservano i salotti virtuali in cui uomini e maiali si contendono primati e deliri.
Tra loro si intravedono scrittori piccoli/medi/grandi/aspiranti.
Qualcuno era animale.
Qualcuno era scrittore e animale.
Adesso, solo uomo e maiale.