Trentasette

narciso

Quanto dura un anno, se il tempo trascorso non è mai abbastanza per riflettersi sul fiume delle vanità?

E trentasette anni?

Un anno di 
narcisi e solitudine 
specchiandomi 
nella mia finitudine, 
sporgendomi 
su quella viva fissità 
che ad ogni respiro moriva un po’ 
in concentriche 
delucidazioni 
e fuggevoli illuminazioni. 

E in essa tu, 
ninfea di bianco fascino, 
che aprendoti 
sul lago delle vanità 
ti apristi a me, perduto in 
una sola immagine 
vibrante ad ogni sospiro. 
E bella e fragile. 

Ci guardammo e ci ascoltammo: 
silenzi e parole a corredo fecondo del testo della seduzione 
e il suono segreto delle brame a musicare la scena. 
Poi finalmente un dì ti presi fra le mani 
e le tue foglie si adagiarono sui miei palmi 
ma il soffio della vita e il suo schiaffo ti fecero presto volare via 

Ed ora, qui, 
nessun profumo sa di te. 
Non ci sei più. 
Nell’acqua ciò che è intorno a me 
si specchia con me 
riflesso in un’immagine 
che si anima di quello che anima me. 

Resterò qui 
un anno, un altro… e quanti più… 
specchiandomi 
ovunque dove eri tu. 

Ciumi di stenti, cori a metà

Immensa poesia di Olivia Sellerio:

Lu jornu ca cantavanu li manu
Dintra li vrazza non tornerà
E parru ca la lingua rumpi l’ossa
– ciumi di stenti- cori a metà

Tu m’ha lassari e ti n’agghiri
m’ha lassari e ti n’agghiri
Tu m’ha lassari e ti n’agghiri
Amuri amuri

Iu t’ha lassari e mi n’agghiri
t’ha lassari e mi n’agghiri
Iu t’ha lassari e mi n’agghiri
Amuri amuri

Dissi ca puru nta st’unfernu
l’avia a ‘ncucciari
Lu ciatu me
E tannu comu c’avia crirutu
E ora mi sfardi comu cu è ghiè

 

 

 

Acqua scura e salmastra

rocco

Dalla pagina 47 del libro “L’ultima notte di Rocco Bellavia“, scritto da Andrea Lerario ed edito da Casta Editore.

Agatina si voltò verso di lui con tutta l’intenzione di volerlo baciare e invece, come nella peggiore pellicola horror di ottava visione che si rispetti, si portò una mano alla bocca, indietreggiò di quattro passi sbattendo quel suo bel culo cubano sul ripiano di marmo della cucina e sgranò gli occhi fino a mostrare uno a uno i capillari della cornea. 

“Ma…ma…ma che ti successe? Che c’hai n’to coddru?”

Oh vivaddio: aveva scoperto la palla.

“Nenti Agatì, pigghiamuni stu cafè e poi ni parlamu”.

Bevvero il caffè in silenzio stando bene attenti a non scottarsi la lingua, poi Rocco accese una sigaretta e Agatina lo imitò all’istante.

“Tu te l’arricordi a me nonno Turiddu?”

Forse la migliore soluzione era affrontare la questione prendendola alla larga.

“E chi ci trase ora to nonno?” obiettò la donna.

“Ci trase, ci trase. Allura? Te l’arricordi oppuru no?”

Boh, m’arricordo appena appena la so facci, ju ero ancora troppu nica quannu iddru murju”.

Acqua.

“Ma te l’arricordi almeno comu successe?”

“Nonzi!” rispose Agatina, vagando con gli occhi verso il soffitto come a frugare nella memoria.

Acqua.

Acqua scura e salmastra.

 

La bellezza in 47 parole

immensità

Ci sono giorni in cui le parole non bastano per la bellezza. Una ci prova, con tutte le buone intenzioni del caso, ma senza alcun risultato.

La bellezza è poesia che non riesco a scrivere, è un profumo che non posso descrivere, è un sapore che è impossibile decantare.

È mani, labbra, pelle.

La bellezza è un collo che trema, un mento disegnato, uno sguardo che nuota nell’infinito. E soprattutto, è inenarrabile.

Qualcuno ha detto che ci vogliono quarantasette parole per raccontarla. Forse o forse ne basta solo una:

Immensità.