Il tempo molto inquieto

Riscrivere parola per parola, oltre che leggere i pensieri di altri scrittori è un esercizio che fa bene all’onestà intellettuale di cui spesso ci si ammanta senza capirne il vero significato. Un esercizio che consiglio non solo per questo, ma soprattutto per avere la possibilità di vivere e rivivere le parole degli autori che tanto amiamo.

il senso di una fine 2

Da Il senso di una fine di Julian Barnes tradotto da Susanna Basso.

Si arriva alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di qualcos’altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi. Ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato? Ho pensato a un manipolo di ragazzi a Trafalgar Square. A una ragazza che, per una volta, ballava. Ho pensato a ciò che non potevo sapere né capire, adesso, a tutto ciò che non si potrà mai sapere né capire. Ho pensato alla definizione di storia proposta da Adrian. A suo figlio che premeva la faccia in uno scaffale di carta igienica traforata pur di evitarmi. A una donna che frigge delle uova con svagatezza e malgarbo, senza preoccuparsi quando le si rompe un tuorlo nella padella; poi alla stessa donna, più tardi, e al suo saluto enigmatico, al gesto orizzontale della mano sotto un glicine inondato di sole. E ho pensato alla cresta di un’onda illuminata dalla luna, acqua in corsa che si allontana controcorrente, inseguita da una banda di giovani urlanti le cui torce elettriche incrociano fasci di luce nel buio. C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto

Auguri Sylvia

sylvia

Oggi la poetessa Sylvia Plath avrebbe compiuto ottantuno anni. Voglio ricordarla con questo splendido capolavoro in lingua originale inaugurando così Pagine, una nuova categoria del mio blog.

Electra on Azalea Path

by Sylvia Plath

The day you died

I went into the dirt,

Into the lightless hibernaculum

Where bees, striped black and gold, sleep out the blizzard

Like hieratic stones, and the ground is hard.

It was good for twenty years, that wintering – As if you never existed, as if I came God-fathered into the world from my mother’s belly:

Her wide bed wore the stain of divinity.

I had nothing to do with guilt or anything

When I wormed back under my mother’s heart.

Small as a doll in my dress of innocence

I lay dreaming your epic, image by image.

Nobody died or withered on that stage.

Everything took place in a durable whiteness.

The day I woke,

I woke on Churchyard Hill.

I found your name,

I found your bones and all Enlisted in a cramped stone askew by an iron fence.

In this charity ward, this poorhouse, where the dead Crowd foot to foot, head to head, no flower Breaks the soil.

This is Azalea path.

A field of burdock opens to the south.

Six feet of yellow gravel cover you.

The artificial red sage does not stir

In the basket of plastic evergreens they put

At the headstone next to yours, nor does it rot,

Although the rains dissolve a bloody dye:

The ersatz petals drip, and they drip red.

Another kind of redness bothers me:

The day your slack sail drank my sister’s breath

The flat sea purpled like that evil cloth

My mother unrolled at your last homecoming.

I borrow the silts of an old tragedy.

The truth is, one late October, at my birth-cry

A scorpion stung its head, an ill-starred thing;

My mother dreamed you face down in the sea.

The stony actors poise and pause for breath.

I brought my love to bear, and then you died.

It was the gangrene ate you to the bone

My mother said: you died like any man.

How shall I age into that state of mind?

I am the ghost of an infamous suicide,

My own blue razor rusting at my throat.

O pardon the one who knocks for pardon at Your gate, father – your hound-bitch, daughter, friend.

It was my love that did us both to death.

Catania

Catania e le sue verità.

Le non scelte e le mezze parole.

I suoi colori e le contraddizioni.

Le voci altisonanti per le vie e i bisbigli agli angoli dei marciapiedi.

Catania e la sua gente.

Uomini e donne stanchi e sempre di fretta.

Catania e i suoi ospiti.

Avventurieri di passaggio. Stacanovisti e disperati. Migranti e turisti.

Catania e i suoi luoghi.

I quartieri, le periferie e i comuni limitrofi sul lungomare o sulla sabbia dei lidi e delle spiagge.

Catania e la sua montagna.

Catania e le sue piazze: gli odori, i colori, i sapori.

Catania caotica e grottesca.

Catania maleducata.

Catania sporca.

Catania arrogante e disubbidiente. Strafottente e infedele.

Catania mai bianca e mai nera. Spesso grigia. Raramente di altri colori.

Immagini veloci di questa città tumultuosa che una ad una si sovrappongono, mentre l’ascolto e la respiro seduta su una panchina domandandomi se davvero questa città sia solo questo o Altro.

E poi mi vengono in mente gli angoli nascosti di questa Catania. Angoli che ormai non potrò mai dimenticare come non dimentico il mio nome. Angoli sommersi che a volte si lasciano offuscare da foschie passeggere, lasciandomi in balia di una perpetua crisi di identità.

Catania è anche Altro.

Invisibile.